Ad Auschwitz cade ancora la neve
Sono appena atterrato in Italia. Dalla Polonia. E sento ancora il freddo. Il freddo di quelle temperature bassissime a cui non sono affatto abituato. Il freddo lasciatomi addosso da un’esperienza che proprio adesso, buttando giù queste poche righe, provo a metabolizzare.
Due giorni fa, ho visto la neve fioccare piano e sfiorare dolcemente i binari di Birkenau, detto anche Auschwitz 2. Perché Auschwitz 1 era troppo piccolo per sterminarli tutti. Serviva più spazio, più dormitori, più blocchi, più camere a gas, più forni crematori.
Li ho visitati entrambi, con uno di quei tour organizzati, col gruppo di italiani e la guida che spiegava (e che forse indugiava un po’ troppo sui dettagli macabri). Ma forse era inevitabile. Lì tutto era finalizzato a provocare sofferenza e dolore. L’orrore non è affatto un dettaglio evitabile.
Chi ha studiato, conosce la storia. Conosce le ragioni politiche, culturali e militari che portarono al noto epilogo. Eppure c’è quasi un pezzettino che manca. Una spiegazione. Una logica. C’è un tale tasso di disumanità che rasenta l’assurdo, che rende inconcepibile quel meccanismo unicamente votato alla produzione di morte.
Chi conosce la storia, visitando i campi di sterminio di Auschwitz, non scopre nulla di più di quello che già sa: nessuna informazione, nessun dato, nessun fatto in più. Ciò che acquisisce è piuttosto la “tridimensionalità” e la “sensorialità” di quelle nozioni. Le pagine dei libri diventano improvvisamente immagini, architetture, luci, oscurità, odori, dimensioni, muri, neve, pietre, claustrofobia, filo spinato che graffia la pelle, freddo che entra dentro le ossa. Quasi riesci a immaginare le urla, i lamenti, il “fumo salire lento“. E tutto diventa vivido, vero. E la storia diventa emozione, angoscia, dolore. E la memoria prende forma, diventa reale, attuale. E restituisce umanità.
E chi conosce la storia non può e non deve mai mettere da parte l’umanità. Perché è la lente attraverso cui la storia può essere “letta” e svolgere davvero il proprio ruolo. Raccontare il passato per insegnare il presente e costruire il futuro. Senza eccezioni o tentennamenti.
Negazionisti, nostalgici, razzisti, nazisti, fascisti, omofobi, xenofobi, sovranisti, violenti… o non hanno mai letto un libro o, se lo hanno fatto, hanno dimenticato di indossare la lente giusta. Quella che permette di comprendere il dolore. Quella che impedisce di commettere nuovamente gli stessi imperdonabili errori.
E mentre ad Auschwitz continua a cadere la neve sui binari, sulle macerie e sui visitatori attoniti, altrove batte il sole, in silenzio: tra le onde e sulle sponde del mar Mediterraneo. Chissà se un giorno un Guccini lo narrerà in una canzone.
di Francesco Giamblanco
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