Sei buono o buonista? Quando le parole scrivono la storia

Qualche sera fa, nonostante il freddo (anomalo per una serata di fine giugno), sono andato a vedere un film all’aperto, in una bellissima piazza di Pisa. Proiettavano Avatar di Cameron (contiene spoiler), il blockbuster che ha incassato di più nella storia del cinema. Quasi tutti l’abbiamo visto e, più o meno, ne conosciamo la storia, per cui è stato introdotto da una breve premessa contenente un po’ di informazioni, alcuni dati tecnici e pure qualche spoiler, tra cui, e cito testualmente, che Avatar “ha un finale buonista”.
Sì, proprio così, “buonista“.
E subito mi si è aperto un varco, uno stargate su un universo di pensieri, di dubbi, di riflessioni: ma non si usava dire “a lieto fine”?
Da quando sono al mondo, ho sempre sentito parlare di film a lieto fine, del classico e vissero felici e contenti. Dunque, se oggi un critico dovesse recensire Biancaneve o Pretty Woman dovrebbe definirli dal finale “buonista”?
Perché “buonista”? Perché tutti ormai, anche al cinema, usano la parola “buonista”? Cosa vuol dire “buonista”?
Sarò pure ossessivo ma mi ci sono arrovellato tutta la notte. E mi sono chiesto: è mai possibile che il linguaggio cambi così rapidamente? Che si trasformi per volontà di qualche soggetto che da un giorno all’altro decide di prendere una parola, di svuotarla del suo significato e di usarla in un’accezione completamente nuova, addirittura negativa? E abusarla, diffondendola come un virus addosso a un gregge, al punto che quella parola poi vada pure a sostituirsi al “lieto fine” di una fiaba?
Il bacio tra il principe e la principessa, il cattivo che viene finalmente sconfitto, l’amore che trionfa, la pace che pone fine a una sanguinosa guerra, il pianeta che viene salvato dagli alieni crudeli, sono “lieto fine”, sono finali “buoni”, non “buonisti”.
“Buonista” è un sostantivo/aggettivo maschile/femminile che deriva da “buono” ma che, secondo la definizione data dalla Treccani, significa “Ostentazione di buoni sentimenti, di tolleranza e benevolenza verso gli avversari“.
“Ostentazione” e “benevolenza verso gli avversari”. Due concetti che non sempre coincidono con la bontà.
Cenerentola che sconfigge la perfida matrigna e sposa il principe azzurro non è affatto un finale buonista, come non lo è il finale di Avatar, in cui il popolo dei Na’vi sconfigge e costringe alla ritirata i terrestri cattivi e usurpatori, salvando il proprio pianeta. Senza ostentazione, senza benevolenza per i nemici.
Certo, se poi volete usare “buonismo” per definire il sentimento universale di chi “possiede umanità, empatia, sensibilità d’animo, rispetto verso il prossimo e capacità di affetti”, state sbagliando termine, quella è un’altra cosa, quella è la definizione che il dizionario dà di “buono”.
E anche se l’uno deriva dall’altro, non possono essere confusi. A meno che non lo si faccia consapevolmente, con un preciso obiettivo: quello di dare un senso negativo e socialmente pericoloso a qualcosa che ha sempre avuto un’accezione positiva e l’approvazione generale.
Non citerò alcun nome, non farò riferimenti diretti a fatti e notizie dei nostri giorni. Tutti sappiamo a chi e a cosa è ormai accomunabile il termine in questione: al tentativo palese e costante di delegittimare i buoni sentimenti, quasi a far passare l’idea che sia “da stupidi”, al punto da renderli fuori luogo e fuori tempo. Ma è tutto un inganno, un brutto gioco di parole.
Per questo vi invito a usare tutte le parole nel modo corretto, conoscendone e rispettandone l’esatto significato: perché a volte basta un aggettivo o un sostantivo messo nel posto sbagliato per cambiare per sempre un’idea, un’opinione, un atteggiamento o il finale di una storia.
Francesco Giamblanco
POTETE SUPPORTARE IL BLOG effettuando i vostri acquisti su Amazon.it
(in tutte le categorie) utilizzando questo link: https://amzn.to/2lWP1cg
Ci aiutereste a far sopravvivere sequestoèunblog.it, grazie.
LEGGI ANCHE:
Parliamo dei problemi reali degli italiani: la campagna elettorale è finita
Siete mai stati a casa di un rom?